بسم الله الرحمن الرحيم
La scienza spirituale conosce diversi gradi di comprensione, la cui realizzazione non è determinata puramente dallo sforzo intellettuale esercitato, bensì anche e soprattutto dall'originaria predisposizione interiore di colui che vi si accosti, nonché fondamentalmente dall'azione e direzione dello Spirito, che elargisce e che sottrae la conoscenza liberamente, secondo i disegni della Sapienza divina. Tale scienza non è perciò disponibile sul terreno della polemica o della dialettica razionale, espedienti discorsivi che se pure possono assumere una qual certa funzione "protettiva" in determinati ambiti ed a specifiche condizioni di utilità, chiaramente non possono in alcun modo costituire uno strumento adeguato al dominio dell'intuizione spirituale e della realizzazione metafisica.
Il seguente articolo riporta chiaramente diversi dati tradizionali che testimoniano della condotta più opportuna, da adottare nei confronti degli ambiti più sottili della conoscenza spirituale. Chi non ne ha una conoscenza diretta, si astenga dal parlarne; chi ne ha realizzato i significati, badi scrupolosamente a condividerne soltanto ciò che può essere compreso con profitto, da coloro che ne abbiano le reali possibilità.
Nell'approfondimento dello studio delle dottrine spirituali, la trasgressione di queste indicazioni prudenziali rappresenta uno dei più comuni elementi di confusione e di dissidio, difficoltà che spesso finiscono per riguardare immediatamente anche altri ambiti della vita personale e comunitaria. Si tratta d'altronde di tendenze dispersive che caratterizzano particolarmente quest'epoca, in cui i piani tendono ad essere sovrapposti e confusi, ed i ruoli usurpati ed invertiti.
«Dice al-Shaykh al-Akbar Sidī Muyhī al-Dīn ibn 'Arabī: «Questa conoscenza [la conoscenza esoterica] deve restare nascosta alla maggior parte delle creature, a causa del suo contenuto troppo elevato; al di sotto di essa si spalanca un abisso profondo, cadere nel quale è cosa temibile. In effetti, se chi sia sprovvisto della conoscenza delle realtà proprie alle cose, osando accostarsi a questo grado di dottrina contemplativa, si imbattesse in qualche espressione di chi invece ne possiede la relativa conoscenza, potrebbe sentirsi autorizzato a dire, pur non avendone mai avuta diretta esperienza: "Io sono Colui che amo e Colui che amo è me"». [1] E' per questa ragione che teniamo celata la conoscenza di tali verità.
Quando Hasan al-Basrī (رحيمه اللَّه), durante le sue lezioni pubbliche, voleva parlare di misteri che non devono trovarsi sul cammino di coloro che non ne sono degni, chiamava da parte i soli Farqad al-Sabahi e Malik ibn Dīnar fra tutti i presenti dotati di gusto iniziatico, e serrando la porta a tutti gli altri, trattava di tali misteri riservatamente. Se non fosse stato necessario serbare il segreto, non si sarebbe certo comportato in questo modo.
Abū Hurayrah (رَضِىَ ٱللَّهُ عَنهُ) disse, secondo quanto riporta al-Bukhārī: «Ho ricevuto dal Messaggero d'Iddio (صلّى اللَّه عليه و سلّم) due depositi di conoscenza; uno l'ho elargito a voi tutti, ma se facessi la stessa cosa con l'altro mi tagliereste la gola». Da parte sua, Ibn 'Abbās (رَضِىَ ٱللَّهُ عَنهُ), riferendosi al versetto coranico che recita: "Dio è Colui che ha creato sette cieli e altrettante terre, e sue tutti scende il Suo Possente Comando", affermava: «Se io ve ne rivelassi l'interpretazione più profonda, voi mi lapidereste considerandomi un miscredente». [2] E 'Alī ibn Abī Tālib (رَضِىَ ٱللَّهُ عَنهُ) diceva battendosi il petto: «Ah! In verità qui dentro è custodito un immenso sapere! Se soltanto trovassi qualcuno degno di riceverlo!». Infine, il Profeta Muhammad (صلّى اللَّه عليه و سلّم) era solito dire a proposito di Abū Bakr (رَضِىَ ٱللَّهُ عَنهُ): «Egli non vi è superiore per il numero delle sue preghiere o dei suoi digiuni, ma per qualcosa che custodisce dentro di sé», senza peraltro aggiungere nulla a proposito di cosa fosse questo "qualcosa". [3]
Le conoscenze non devono essere indiscriminatamente divulgate da coloro che le detengono, ed è per questo che il Profeta (صلّى اللَّه عليه و سلّم) disse: «Parlate agli uomini secondo il loro grado di intelligenza». Pertanto, quando si trova un libro che tratta di una scienza che si ignora o di cui non si è percorso il cammino, è opportuno non aprirlo, riconsegnandolo nelle mani di coloro che sanno, senza sentirsi tenuti a credere o non credere al suo contenuto, e persino a parlarne.
Un hadith afferma: "I possessori delle scienze religiose non sono necessariamente dei veri sapienti", e il Corano recita: "Ma essi tacciano di menzogna ciò che non possono abbracciare con la loro scienza", e: "Perchè disputate a proposito di ciò di cui non sapete nulla?". Siamo così avvertiti del fatto che gli uomini sono sottoposti a biasimo quando trattano un tema senza aver percorso la strada che conduce alla sua effettiva conoscenza.
Noi siamo indotti a premettere tutto questo perchè i libri di coloro che percorrono la Via del tasawwuf sono pieni di misteri, e perchè gli speculativi se ne appropriano piegandoli al proprio punto di vista specifico, mentre i sapienti dell'esteriore ('ulamā' al-zāhir) li interpretano prima secondo l'accezione letterale, ed in seguito li condannano. Ora, se si domanda a costoro il significato preciso dei termini che, per comune accordo, i mutasawwufin utilizzano nelle loro formulazioni, si può constatare che essi lo ignorano! Come possono allora sentirsi autorizzati a pronunciarsi su questioni di cui non padroneggiano i fondamenti? E se poi vedono coloro che percorrono la Via del tasawwuf tener segrete ai loro compagni molte delle loro esperienze spirituali, arrivano a dire: "una religione che nasconde qualcosa è una religione malvagia", mostrando così di ignorare i molteplici aspetti della religione.
Le genti del tasawwuf celano non già la religione, quanto certe sue conseguenze, e ciò che Allah ha concesso loro di comprendere in vita subordinandolo all'accettazione delle regole d'obbedienza, e solo nel momento in cui hanno dato prova di rispettarlo. [...]
Pertanto, quanto è degno di lode colui che, in tali frangenti, si astiene dall'intervenire in merito a ciò che è al di sopra delle sue conoscenze e, cercando la salvezza, si attiene a ciò che è sicuro per lui senza giudicare ciò che non gli appartiene! Tale uomo vive felice, e si assicura il favore dell'ordine totale della realtà. [...]
I letteralisti e gli speculatori, invece, tendono ad accettare come vero soltanto ciò che si accorda alle loro opinioni e conoscenze, respingendo e contestendo quando se ne discosta, dichiarando: "Ciò è falso in ragione del suo disaccordo con le prove di cui disponiamo!". Ma è ben possibile che quelle prove non abbiano le basi appropriate, per quanto le considerino perfettamente fondate [o che la loro comprensione di quelle stesse prove sia tutt'altro che completa ed esauriente, ndr]. In tali condizioni non sarebbe preferibile astenersi da ogni considerazione al riguardo e lasciarne la responsabilità all'autore, senza che peraltro questo implichi di accettarne la veridicità? Se quelli si comportassero così, raccoglierebbero certamente i frutti di aver mantenuto una posizione neutrale.
Una persona che apparteneva al novero degli speculatori razionali e tentava di attingere alla conoscenza, venne un giorno a porre una questione ad un sapiente sufi. Ero presente anche io, seduto fra i suoi discepoli. Il sapiente cominciò a rispondere alla domanda posta, quando d'un tratto il dialettico lo interruppe dicendo: «Ciò che dici per me non ha senso. Spiegamelo meglio, perchè può darsi che io sia in errore». Il sapiente intuì che ogni sua parola sarebbe stata vana, e di fronte alla contraddizione e all'ostilità dell'altro tacque, poichè gli esseri che conoscono le realtà essenziali non accettano situazioni simili, a causa dell'impurità e della privazione di baraka che ne derivano. E' per questo che il Profeta (صلّى اللَّه عليه و سلّم) diceva ai suoi compagni, quando tra di loro sorgevano delle dispute in sua presenza, che queste non erano ammesse di fronte a lui. In un'altra occasione il Profeta (صلّى اللَّه عليه و سلّم) disse: "Mi fu concessa la visione della Notte del Destino, ma proprio in quel momento due uomini vicino a me cominciarono a discutere, e la visione svanì".»
Liberamente tratto da
"Il Libro dell'Estinzione nella Contemplazione" (Kitāb al-Fanā' fī'l-Mushāhada)
Trad. it. Yunus Tawfiq e Roberto Rossi Testa
Tramite il blog Islam Sunnita
Note
[1] Locuzione attribuita ad al-Hallāj. Il senso di questa affermazione è che alcune affermazioni sono corrette laddove siano espresse alla luce di un determinato stato spirituale che le legittima, e non al di fuori di esso. Lo stesso Hallāj ha detto: "Se qualcuno parla senza possedere il significato interiore di ciò di cui sta parlando, si comporta, nella sua pretesa, come l'asino di cui l'Altissimo ha detto: "Come un asino che portasse dei libri".
[2] Il medesimo concetto è espresso in Mt 7:6, dove è detto: "Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe, e poi si voltino per sbranarvi", ed ancora in Mt 15:26, dove è detto: "Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini".
[3] Il Profeta (صلّى اللَّه عليه و سلّم) faceva spesso riferimento all'eccellenza di alcuni suoi Compagni rispetto ad altri. Al momento della conquista della Mecca, quando in sua presenza Khālid ibn al-Walīd si rivolse con stizza contro 'Abd al-Rahmān ibn 'Awf, che lo aveva rimproverato, il Profeta (صلّى اللَّه عليه و سلّم) disse: «Sii gentile Khālid, lascia stare i miei Compagni, perchè se anche tu possedessi tanto oro quant'è grande il monte Uhud e lo spendessi sulla via di Dio, non otterresti per questo il merito posseduto da uno solo di essi».
[2] Il medesimo concetto è espresso in Mt 7:6, dove è detto: "Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe, e poi si voltino per sbranarvi", ed ancora in Mt 15:26, dove è detto: "Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini".
[3] Il Profeta (صلّى اللَّه عليه و سلّم) faceva spesso riferimento all'eccellenza di alcuni suoi Compagni rispetto ad altri. Al momento della conquista della Mecca, quando in sua presenza Khālid ibn al-Walīd si rivolse con stizza contro 'Abd al-Rahmān ibn 'Awf, che lo aveva rimproverato, il Profeta (صلّى اللَّه عليه و سلّم) disse: «Sii gentile Khālid, lascia stare i miei Compagni, perchè se anche tu possedessi tanto oro quant'è grande il monte Uhud e lo spendessi sulla via di Dio, non otterresti per questo il merito posseduto da uno solo di essi».
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